News Sicilia

Agenzia di Stampa Italpress
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Fatta luce dopo 33 anni sulla scomparsa di Calogero Di Bona: fu ucciso e poi bruciato

 

Ad ordinare la morte del maresciallo Calogero di Bona, nel 1979, fu il capo mandamento di Tommaso Natale Rosario Riccobono. La Direzione Investigativa Antimafia di Palermo ha messo in luce dopo oltre trent'anni, infatti, i lati oscuri della scomparsa del vice comandante degli agenti di custodia del carcere Ucciardone di Palermo, individuando mandanti ed esecutori di quella lupara bianca che risale all'agosto di trentatre anni fa.

L'attività investigativa svolta dalla Dia ha permesso di raccogliere, nonostante il lungo tempo trascorso, elementi probatori nei confronti del capo mafia Salvatore Lo Piccolo, e del boss Salvatore Liga. Ora si sa che Di Bona fu prima strangolato, poi il cadavere venne bruciato per non lasciarne nessuna traccia.

Il movente dell'omicidio di Di Bona sarebbe da rintracciare in un ipotetico pestaggio nel quale venne coinvolto Michele Micalizzi - legato da vincoli sentimentali alla figlia del boss Riccobono -, condannato nel 1979 a otto mesi di reclusione, proprio perchè riconosciuto colpevole del reato di lesioni ai danni di un agente penitenziario.

Le indagini della Dia hanno dimostrato che l'omicidio del maresciallo Di Bona risulta correlato a quest'ultimo episodio, avvenuto all'Ucciardone il 6 agosto 1979, quando una giovane guardia carceraria fu aggredita in infermeria da alcuni detenuti, dopo avere tentato di farli tornare nelle rispettive celle. L'unico detenuto individuato con certezza dalla vittima dell'aggressione però non scontò alcuna sanzione disciplinare.

Il fatto non andò giù ai colleghi dell'agente pestato, tanto che una dura missiva, venne inviata intorno alla metà di agosto del 1979 alla Procura della Repubblica, al Ministero di Grazia e Giustizia e a due quotidiani cittadini. Nella lettera le guardie lamentavano non solo la mancata punizione del detenuto reo dell'aggressione, ma anche "il potere di mafia" esercitato dai boss all'interno delle mura dell'Ucciardone.

Da qui la rappresaglia della mafia, culminata nel sequestro e nell'omicidio di Di Bona, da cui Cosa nostra voleva sapere chi avesse scritto la lettera anonima, da cui scaturì la pena per Micalizzi.