La morte della speranza tra le macerie della politica

 

Con un'improvvisa accelerazione Rosario Crocetta ha dato ufficialmente il via al suo secondo governo con l'assegnazione delle deleghe, non sappiamo con quale maggioranza nè se darà risultati migliori rispetto al precedente. Sembrava che stesse lavorando a una ricucitura nei rapporti con il suo partito, anzi, con la sua area di riferimento all'interno del Pd, la cuperliana, ma evidentemente qualcuno gli avrà fatto notare, o lui si sarà reso conto, che di questo passo, nel vano tentativo di inseguire i malumori ovunque sparsi, forse nemmeno a Natale si sarebbe potuta scrivere la parola "fine" a mesi di blocco totale dell'attività di governo e parlamentare. Una partita gestita male, con un continuo scarica barile e rimpallo delle responsabilità, per un'ormai conclamata inadeguatezza della nostra classe politica. Ci fosse solo malafede, e c'è, ricerca di un tornaconto personale e di partito, e c'è, ci siamo abituati, ma scopriamo che c'è, inoltre, troppa approssimazione, pochezza culturale, assenza di spessore nella stragrande maggioranza dei politici siciliani. Abbiamo assistito a scene che nemmeno nella prima Repubblica, nemmeno ai tempi della Regione Siciliana in cui i governi cambiavano ogni sei - otto mesi nonostante la Dc di allora avesse le maggioranze necessarie per governare senza intoppi. Il gioco delle correnti interne, degli equilibri con gli alleati minori e degli interessi spesso scellerati, all'ombra di Cosa Nostra, imponeva il continuo ricambio a Palazzo d'Orleans come a Palazzo delle Aquile. Abbiamo assistito, impotenti, mentre la Sicilia si ritrova aggrovigliata nei suoi molteplici drammi con i giovani, le famiglie e le imprese ai bordi di un baratro, a manovre di palazzo per la pura spartizione del potere e delle poltrone. Siamo agli scontri personali, ai veleni, alle fazioni. Non solo, s'è scatenata pure un'incredibile lotta per chi meglio rappresenta la vera antimafia o i diritti dei deboli e degli indifesi rendendo impossibile per questa terra, ancora una volta, la normalità, la normalità dell'impegno quotidiano per la legalità e la solidarietà di moltissimi uomini e donne che non hanno l'onore del palcoscenico e che, per loro fortuna, non hanno vissuto il dolore immenso della perdita di un congiunto per mano assassina mafiosa. Riusciamo solo a costruire mostri, in negativo e in positivo, ma mostri. E' diventata una moda usare, a proposito di quanto è accaduto e sta accadendo riguardo alla vicenda del rimpasto del governo regionale e alla composizione delle liste del Pd per le elezioni europee, altro spettacolo deprimente, il termine "Vietnam". Espressione per indicare lo stato di totale confusione, di contrasti tra organi di partito e gruppi parlamentari, tra vertici regionali e nazionali, per indicare imboscate con morti e feriti, politicamente parlando, più a causa del fuoco amico che degli avversari , di chi prima era amico ed è diventato avversario o viceversa. Termine appropriato, seppure abusato. In realtà, qui si tratta di costatare che ci troviamo di fronte a vere e proprie macerie, le macerie della politica e della speranza. In Sicilia, in queste ore, la politica è morta, sono morti i partiti, almeno così come si sono manifestati. Erano già morti? Bè, sono stramorti. E' morta la speranza di una politica finalmente slegata dalla logica dello scontro perenne al fine di conquistare una posizione per sé, per il proprio recinto. E' morta la speranza di una politica mossa esclusivamente dall'amore per il bene comune. Noi non possiamo rassegnarci a tale stato di cose, perché la morte della politica è la morte della democrazia, perché la morte della speranza è la morte dell'anima. Dobbiamo entrare in campo e dare il nostro contributo per cambiare direzione, per ridare fiato alla speranza.

Pippo Russo