Lascia perplessi e a tratti amareggiati che proprio dall'associazione nazionale costruttori edili di Sicilia, (Ance Sicilia) sia partita la proposta di vendere i beni confiscati alla mafia per incassare i crediti vantati dalle aziende con le pubbliche amministrazioni. Lascia perplessi e parecchio. Proprio gli imprenditori siciliani, che dalla mafia vengono sfruttati, vessati, intimiditi, ammazzati chiedono di mettere in vendita i beni confiscati?
Argomento questo, che ha creato forti polemiche proprio perché il metterli in vendita vorrebbe dire, dare alla mafia la possibilità di riappropriarsene, rendendo vano il lavoro che ci sta dietro una confisca (e un sequestro). E rendendo vano a maggior ragione il senso che sta dietro ad una confisca: contrastare la mafia battendo su uno dei suoi aspetti più importanti, i patrimoni. Le ricchezze. Togliere i patrimoni alla mafia vuol dire indebolire la criminalità organizzata, il giro di soldi che ruota attorno a questi beni. Lo sapevano Rignoni e Pio La torre che con la legge 13 dicembre 1982 n. 646 introdussero nel codice penale l'articolo 416 bis sul reato di associazione di tipo mafioso e sulle misure patrimoniali applicabili all'accumulazione illecita di capitali quindi la confisca dei beni ai mafiosi. La sapevano quel milione di cittadini che firmarono la proposta di legge formulata da Libera che si concretizzò poi nella legge 109/96 sull'utilizzo sociale dei beni confiscati ai clan.
L' Ance Sicilia come scrive in una nota, "invita il governo regionale a coordinarsi con quello nazionale per varare subito due provvedimenti organici che consentano, il primo, di vendere gli immobili pubblici e quelli confiscati alla mafia o di ottenere finanziamenti garantiti da questo patrimonio, e di utilizzare il ricavato per pagare i debiti con le imprese...In assenza di risposte immediate, saremo costretti ad attivare i nostri legali, a quel punto – dicono – sarebbero le pubbliche amministrazioni a chiudere".
Sulla vendita degli immobili pubblici si può essere d'accordo, insomma, tra il non utilizzarli e lasciarli in stato di abbandono, tanto vale venderli e incassare. Ma questo, sempre che il governo decida di far partire un *iter bloccato da sempre nel quale gli unici a guadagnarci sono consulenti e avvocati di solito perché da noi, nel nostro paese, gli immobili pubblici, tendono ad essere svenduti più che venduti.
Torniamo però a parlare dei beni confiscati e della richiesta fatta dall'ANCE Sicilia di venderli . Tema affrontato fino allo scorso maggio, dal ministro dell'Interno, Anna Maria Cancellieri. Affrontato con una superficialità che lascia basiti. Il ministro ha dichiarato che "Non dobbiamo aver paura di mettere in vendita i beni confiscati. Il rischio che tornino nelle mani dei clan esiste, ma vorrà dire che saranno nuovamente sequestrati e confiscati e lo Stato ci guadagnerà due volte".
Parole da far rivoltare nella tomba Pio la Torre, Giovanni Falcone, Paolo Borsellino e non solo loro. Parole cui forse dovrebbero replicare coloro che questi sequestri e queste confische le predispongono, le eseguono.
Siamo tutti d'accordo sul fatto che gli imprenditori vadano pagati, che la crisi sia forte e che il rischio di chiusura per le aziende, incomba. Ma non è questa la soluzione che si può proporre.
Ci rivolgiamo quindi al presidente dell'Ance Sicilia, Salvo Ferlito, che parla di senso di responsabilità delle imprese dell'Associazione: "sono comunque consapevoli, per senso di responsabilità – si legge in una nota dell'Ance – che una simile azione (azioni legali nei confronti delle PA, ndr) , considerata l'attuale situazione di bilancio della Regione e degli Enti locali dell'Isola, porterebbe tutte le pubbliche amministrazioni alla dichiarazione di dissesto finanziario".
Ci auguriamo Presidente che, per quel senso di responsabilità ci cui lei parla, il suo invito a vendere i beni confiscati alla mafia, esistendo la certezza che tornerebbero nelle mani dei clan, venga al più presto ritirato.
*L'articolo 6 della legge 183 del 2011 prevedeva che entro il 30 maggio scorso il Governo emanasse un decreto di individuazione degli immobili per tutte le amministrazioni pubbliche, "al fine di ridurre la spesa pubblica per un importo complessivo di 4,2 miliardi per l'anno 2012", immobili pronti per essere messi sul mercato, e prevedeva anche che fossero " conferiti o trasferiti beni immobili di proprietà dello Stato e una quota non inferiore al 20 per cento delle carceri inutilizzate e delle caserme assegnate in uso alle Forze armate dismissibili". Ma in materia di politica di analisi e revisione della spesa pubblica, la cosidetta spending review, il nostro paese è fermo. Nonostante la normativa preveda "Ricognizione degli immobili in uso; riduzione della spesa per locazioni, assicurando il controllo di gestione dei contratti; definizione di precise connessioni tra superficie occupata e numero degli occupanti; Ottimizzazione dell'utilizzo degli immobili di proprietà pubblica anche attraverso compattamenti di uffici e amministrazioni; Restituzione all'agenzia del demanio degli immobili di proprietà pubblica eccedenti i fabbisogni" il tutto attraverso una serie di norme stabilite che vanno dalla razionalizzazione degli spazi utilizzati dalle amministrazioni dello Stato, il contenimento delle locazioni passive e individuazione dell'Agenzia del demanio quale "conduttore unico", l'accentramento in capo all'Agenzia del demanio della competenza in tema di interventi di manutenzione sul patrimonio immobiliare, la razionalizzazione del patrimonio strumentale degli Enti previdenziali, le disposizioni in materia di federalismo demaniale. E quindi la redazione di piani delle alienazioni e valorizzazioni immobiliari da parte delle Regione, dei Comuni, province, comuni e altri enti locali (da allegare al bilancio di previsione), all'istituzione di "Società di gestione del risparmio (SGR) con il compito di istituire fondi che partecipano a quelli immobiliari costituiti da enti territoriali, anche tramite società interamente partecipate, a cui siano conferiti immobili oggetto di progetti di valorizzazione". A partire dal 1 gennaio 2013 inoltre l'Agenzia del demanio avrà il compito di gestire in maniera accentrata le decisioni di spesa per la manutenzione ordinaria e straordinaria degli immobili utilizzati dalle pubbliche amministrazioni.
E' bene a tal proposito ricordare che le amministrazioni pubbliche hanno l'obbligo di comunicare entro il 31 gennaio di ogni anno a decorrere dal 2012, la previsione triennale dei lavori di manutenzione ordinaria e straordinaria che intendono effettuare "sugli immobili di proprietà dello Stato alle stesse in uso e dei lavori di manutenzione ordinaria che intendono effettuare sugli immobili in locazione passiva ovvero utilizzati a qualsiasi titolo" . In seguito alle previsioni presentate e alle verifiche svolte, l'Agenzia del demanio, assume le decisioni di spesa sulla base di un piano generale degli interventi per il triennio successivo.
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