La notizia è che la Corte Costituzionale ha accettato il ricorso presentato dal Presidente Napolitano che lo scorso 16 luglio, ritenendo lese le proprie prerogative, ha sollevato il conflitto di attribuzione, tra poteri dello Stato verso la Procura di Palermo, a seguito della notizia uscita su alcuni organi di stampa, di intercettazioni, volte a portare avanti l'indagine riguardante l'ex ministro dell'Interno Nicola Mancino (uno dei 12 imputati nel processo sulla trattativa stato mafia) e che indirettamente hanno coinvolto anche il presidente della Repubblica, in quanto era l'interlocutore. Quattro le telefonate intercorse, due fatte da Mancino e le altre due invece dal Presidente.
Adesso si attendono le motivazioni della sentenza che saranno depositate a gennaio. Al momento le registrazioni non saranno distrutte. Un comunicato diffuso dalla consulta non ha valore in questo senso.
Ma la notizia non è solo questa, perché questa faccenda non ha riguardato solo il Colle. Quelle intercettazioni erano volte ad indagare su uno degli imputati del processo sulla trattativa Stato-mafia (la cui competenza territoriale è rimasta al Tribunale di Palermo (Leggi articolo) e se è vero che lo stato siamo noi, che, come recita la nostra costituzione, il Popolo è sovrano, questa faccenda riguarda dunque ogni cittadino, che da questo Stato dovrebbe essere rappresentato e che necessariamente quindi vuole sapere. Che cerca la verità.
La partita sul conflitto di attribuzione invece ha tenuto fuori dalla ricerca della verità lo Stato, quello fatto dai cittadini, che l'unica cosa che vogliono è sapere se le istituzioni trattarono con la mafia. L'altra notizia quindi, strettamente legata a quelle della decisione della Corte Costituzionale, è che in nome di una costituzione che tutela il Presidente della Repubblica, viene meno quello che dovrebbe essere il diritto di un popolo annientato dalla mafia, di sapere la verità, di sapere perché l'ex Ministro Mancino chiamò Napolitano e che cosa gli chiese.
Ed è qui che un conflitto di attribuzione prende i connotati di un conflitto tra interessi.
La notizia è che c'è un'Italia, una Sicilia che chiede verità e a cui è stata negata la possibilità di sapere qualcosa in più.
Cittadini che hanno creduto nelle centinaia di ore dedicate dai pm di Palermo a questo conflitto, di riunioni estenuanti, di centinaia di pagine scritte e poi affinate, nella speranza che martedì scorsoa Roma si sarebbe scritta una pagina di giustizia nella vita democratica di questo paese. Ed invece hanno dovuto accettare di perdere, si di perdere, nella maniera più grave e assoluta, senza filtri né ammortizzatori, perché secondo la Corte, i pm di Palermo hanno violato la costituzione.
Quei cittadini che si chiedono esattamente quale Costituzione sia stata violata e che, al contrario, credono che ad essere violato sia stato il loro sacrosanto diritto alla Verità. Che si sia protetto lo Stato come Istituzione e non lo Stato inteso come Popolo.
E questo gesto, che cerca di essere spiegato alla gente comune, ai ragazzi, alle famiglie delle vittime di mafia, con parole come "conflitto, attribuzione, prerogative, Costituzione, legge", sarà ricordato come una delle pagine più tristi di questo paese.
M. Ge.
Questo indirizzo email è protetto dagli spambots. E' necessario abilitare JavaScript per vederlo.