Europee. Le ragioni di una vittoria

Quando, alla fine dello scorso anno, resi nota la mia decisione di abbracciare il progetto di governo e di partito di Matteo Renzi avevo in mente alcune cose, poche ma chiare, che ho espresso pubblicamente in più occasioni. Nessuno certo poteva immaginare un risultato di tale portata, nessuno poteva ipotizzare che Renzi, con il 40,8% dei consensi, diventasse l'indiscusso riferimento non solo italiano ma anche europeo della famiglia socialista e democratica, si poteva però immaginare un successo di Renzi per alcuni semplici motivi che provo a sintetizzare. Da premettere che, ovviamente, ha vinto un progetto e una squadra, quindi niente culto della personalità, ma senza Renzi difficilmente progetto e squadra, premiati da un consenso così schiacciante, sarebbero nati. Renzi è un premier che sta cercando di scardinare sistemi di potere ormai ossidati che non tollerano che qualcuno li metta in discussione. Non è un caso che immediatamente, e incredibilmente, si siano scagliati contro di lui, come nemmeno contro lo stesso Berlusconi, pezzi rilevanti di Confindustria, la parte più arretrata del sindacato tradizionale, la sinistra salottiera e ideologica che non vuole rinunciare a schemi superati, banche, enti spreconi, manager e super burocrati della Pubblica Amministrazione. Un'osservazione che avrebbero dovuto fare in parecchi. È il primo presidente del Consiglio che sta parlando un linguaggio diverso in Europa, di attenzione alle persone, agli immigrati che muoiono in mare, alle comunità nazionali più che alla finanze, ai colossi bancari e ai totem dei parametri di Maastricht, del fiscal compact e dell'austerità ad ogni costo. Ha posto dal primo momento l'accento sul lavoro con il Jobs Act, sulla scuola, sui giovani, sulla necessità che i sacrifici non gravino eternamente sugli stessi soggetti, che ha invertito la tendenza della pressione fiscale e, appena insediato, ha declassificato atti riguardanti pagine oscure e sanguinose della storia della nostra Repubblica. Ha iniziato una serrata lotta all'illegalità e alla corruzione riprendendo il tema del falso in bilancio, da reintrodurre, e delle prescrizioni troppo brevi. Come leader non ha scheletri nell'armadio, per un oggettivo dato anagrafico se vogliamo, non ha alcuna responsabilità sulle condizioni di grave sofferenza economica e di degrado morale in cui versiamo per non avere rivestito, prima d'ora, incarichi di governo, di sottogoverno o di partito. Provvedimenti significativi indigesti a caste e a fruitori di privilegi sono già stati e saranno esitati in direzione di una maggiore equità sostenendo redditi medio bassi, famiglie, imprese, incapienti e pensionati. Molte riforme, sociali, fiscali ed istituzionali, sono in cantiere tra mille trappole ed insidie di lobby e corporazioni. Dall'altra parte c'era Grillo che non ha fatto passare santo giorno senza attaccare Renzi con espressioni violente e insulti, il suo peggiore nemico, l'unico, lui lo sa da sempre, che poteva elettoralmente annientarlo, com'è successo nella realtà, perché con la sua azione di governo e le sue iniezioni di fiducia prosciuga inesorabilmente l'humus dell'antipolitica su cui ha proliferato il movimento grillino. L'altro personaggio in declino che aveva capito tutto è Berlusconi. E' arrivato il primo leader del centrosinistra cui non può rivolgere l'accusa di essere un comunista, che lo sconfigge sul piano politico non usando la leva giudiziaria. Renzi è pure segretario nazionale del Pd, un grande partito, anzi l'unico partito esistente nel panorama politico, non personalistico e con dinamiche interne democratiche. Renzi è il leader in grado di rivoluzionare finalmente il Pd trasformando l'attuale ed infeconda sommatoria di correnti, vale in particolare per la Sicilia, in sintesi delle culture che hanno fondato la nostra democrazia e dato vita alla Costituzione. Lo può fare perché non proviene dai partiti della prima Repubblica, dalla stagione di tangentopoli, non ha apparati da tutelare. Lui non ha molto tempo, deve correre e realizzare. Se fallisce o inganna non avrà come altri la possibilità di riciclarsi, sarà politicamente esiliato a vita. Ha un compito immane, insomma, che meritava un giusto e ponderato credito. Credito che l'elettore, a ragion veduta, gli ha concesso ampiamente.