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Agenzia di Stampa Italpress
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Delocalizzazione dei call center? La cgil non ci sta e promuove una petizione.

Call center

Pagare un lavoratore in certi paesi come la Romania, l'Albania, la Tunisia, costa molto meno che in Italia. Ecco che le compagnie che gestiscono i call center in outsourcing in Italia, con l'avallo del Governo e delle leggi del nostro paese, decidono di esportare il lavoro all'estero. Da ciò nasce l'iniziativa della cgil provinciale di Palermo la quale ha predisposto un presidio in via Magliocco, angolo via Ruggero Settimo, con un Gazebo informativo. Dall'11 al 15 giugno, dalle ore 8 alle ore 19, il sindacato raccoglierà firme e distribuirà volantini per sensibilizzare le istituzioni locali e nazionali.
"La delocalizzazione del lavoro dei call center non rappresenta un problema solo per coloro che lavorano nei call center, - ha spiegato questa mattina il segretario provinciale della cgil ai microfoni di Radio Radio Palermo - ma anche di tutti quegli abbonati a compagnie telefoniche o a pay tv che hanno fornito, alla stipula del contratto, i propri dati sensibili. Quindi nessuno deve sentirsi escluso da questo fenomeno."
Il pericolo in effetti c'è. Le carte di credito e i conti bancari in primis, con tutto il resto delle informazioni così dette sensibili, passano in paesi che non sono regolamentati in materia come in Italia. Si rischiano clonazioni, vendita di interi archivi di dati di cittadini italiani ad altre compagnie estere, con i danni che potrebbero conseguirne. Ma a rischiare maggiormente sono i lavoratori. Si stima che negli ultimi anni siano stati circa 30.000 i posti persi in Italia per colpa dell'esportazione del lavoro. E molti altri potrebbero perdersi se dovesse continuare questo andazzo. Le aziende trovano manovalanza ad un costo minore (circa la metà) e vanno altrove. Abbattono il costo del lavoro e mettono in contrasto lavoratori con diritti acquisiti e altri senza diritti. In Sicilia ci sono quasi 20.000 operatori di call center, il settore che da in assoluto più lavoro nella nostra regione. Operai del terzo millennio, con paghe minime, ma che nonostante tutto vedono compromesso il proprio futuro.
"Abbiamo aperto un gazebo informativo, - ha spiegato Rosso - e cercheremo di interessare le istituzioni locali e regionali. Abbiamo aperto un tavolo al Ministero per porre il problema a livello nazionale. Inoltre chiediamo a Confindustria di prendere una posizione chiara riguardo a questa vicenda, deve fare un protocollo e dire che il lavoro deve restare in Italia, anche per la qualità. Molto spesso risponde gente che nemmeno sa parlare l'italiano."
E conclude: "Molte aziende che oggi delocalizzano hanno in questi anni ricevuto degli incentivi a livello nazionale e regionale. Oggi non possono portarsi via il lavoro dopo aver succhiato il sangue al territorio."
Soldi che vanno via per pagare lavoratori all'estero e che mai più ritorneranno. L'Italia avrebbe bisogno di importare lavoro e di far rientrare capitali. Ma avviene esattamente il contrario. Forse sarebbe ora di "darci un taglio" e porre rimedio.