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Trattativa. Il pentito Onorato: ''Dopo la sentenza del maxi, Riina diceva che li voleva ammazzare a tutti''

Il pentito Onorato in videoconferenza - foto P.R.L'omicidio Lima, i rapporti tra la mafia e lo stato che "ci sono sempre stati", la lista di chi doveva essere ammazzato dopo la sentenza del maxi processo, i voti della mafia a Martelli ("Lo abbiamo fatto diventare noi ministro"), i rapporti personali con Dell'Utri, il Gruppo di fuoco e ancora gli omicidi commissionati dai politici ("Dalla Chiesa, Mattarella..."). Questo hanno raccontato ieri i due pentiti Francesco Onorato (ascoltato come testimone assistito - Art 197 bis di c.p.p) e Giovan Battista Ferrante.

Deposizione Onorato (nella foto di spalle durante l'audizione di ieri) Ha iniziato la sua deposizione rispondendo ad alcune domande preliminari del pm Nino Di Matteo, sul ruolo ricoperto all'interno di Cosa nostra.
"Sono stato affiliato, combinato come diciamo noi, nel 1980. Appartenevo al mandamento di Partanna Mondello, all' epoca retto da Rosario Riccobono. Partanna Mondello all'epoca era mandamento. Poi cambiò qualcosa, perché nel 1982, il mandamento di Partanna viene a mancare perché Riccobono viene strangolato e, a seguito delle decisione della Commissione Riina, passò a San Lorenzo, a Pippo Gambino. Rimanevamo noi come reggenza. Antonino Porcelli e micalizzi ai tempi reggevano. Quando Pippo Gambino viene arrestato – nell' 86 assieme a Raffale Ganci, suo cognato, Salvatore Biondino, prende il suo posto e lo rimane fino al'92.
Alla mia affiliazione erano presenti una trentina di boss. Il mio padrino era Gaetano Carollo, sottocapo del mandamento di Resuttana. Io avevo già commesso reati, omicidi, come gli strangolamenti allo zen, quello dei ragazzi che facevano le rapine.
Nel 1984 vengo arrestato per tre anni. Nell'87 esco mi incontro con Biondino, Buffa, biondo il lungo e il corto e ci diamo appuntamento da Armando Bonanno, capo mandamento Resuttana, bevemmo qualcosa insieme e mi diedero la carica di reggente della famiglia di Partanna, con Salvatore Graziano, della famiglia di Sferracavallo, Simone Scalici e Lo Piccolo all'epoca latitante.
Mi dissero di frequentarlo un po' a Bonanno e poi di strangolarlo, ma prima dovevo controllarlo.

Fino al 1993 mantengo questa carica di reggente. Io venni arrestato nel novembre del 93 in una villa di Mondello. Ero latitante. Latitante da più di un anno e mi avevo dato custodia cautelare come mandante per l'omicidio di Salvo Lima. Quella misura cautelare in cassazione fu annullata, fu archiviato l'omicidio Lima e rimase solo l'associazione mafiosa. Quindi non avevo un titolo di custodia cautelare per l'omicidio Lima quando iniziai a collaborare. Ero in carcere ma non al 41 bis, ma in alta sorveglianza. Potevo fare tutto. Telefonate, incontri, entrava la spesa.

Nel settembre '96 inizio a collaborare. E in quel periodo non avevo ancora condanne definitive. Po mi accusai di tanti delitti per cui non ero nemmeno indagato: omicidio Lima, archiviato, esecutore della scomparsa di Emanuele Piazza, fallito attentato all'Addaura e altre stragi e omicidi come quello di Badalamenti, D'Agostino, Gaeta.

Nell'87 ho la reggenza ma ho anche un'altra carica in più, più importante, facevo parte del gruppo di fuoco della commissione. Riina insieme con la commissione mi riteneva un uomo valido e fui inserito e quindi potevo fare omicidi anche fuori il territorio di appartenenza come ad esempio la scomparsa dei fratelli Giuseppe e Salvatore Sceusa (piccoli impreditori Edili di cerda, uccisi e sciolti nell'acido, ndr), strangolati a Capaci, lavoro fatto con Biondino. Dovevo partecipare anche all'omicidio del commissario Germanà nel settembre dell'82.

La regia del gruppo di fuoco era di Salvo Biondino. E assieme a Giovanni Cusimano, abbiamo rubato il fiorino a Partanna Mondello a uno che vendeva frutta, e Giovanni Ferrante l'ha consegnato a Mazara del vallo ad alcuni uomini a cui serviva per l'omicidio Germanà. Io non andai alla fine perché dicevano che nei paraggi dell'Addaura avevano visto Contorno e io fui tra quelli incaricati di ucciderlo e quindi ero impegnato in questo".

Il pentito poi ha raccontato delle "sentenze di morte" a seguito della sentenza del maxi processo. 
"Dovevano morire in tanti. Chi aveva voltato le spalle a Riina, alla commissione doveva morire. Gente che prima se ne parlava bene e poi dopo la sentenza della cassazione è cambiato tutto. Prima Riina e Biondino si vantavano delle loro amicizie e di aver trovato le persone giuste per aggiustare il maxi processo, poi quelle stesse persone si dovevano ammazzare invece. Parlo di Lima, i Salvo, i fratelli Gioia, fratelli di Carlo di Altofonte.
C'era una lista, se avesse avuto la possibilità Riina li avrebbe ammazzati a tutti politici per la sentenza andata male. La fonte di queste notizie era Salvatore Biondino che era la stessa cosa di Riina. Non faceva nulla senza che glielo dicesse Riina.
Si dovevano uccidere il Commissario Germanà, l'Onorevole Carlo Vizzini che io ho pedinato, Calogero Mannino. Salvo Lima era il primo della lista insieme al figlio se c'era la possibilità e con lui in cima alla lista c'era Andreotti con il figlio.
Martelli si doveva uccidere. Lo abbiamo fatto diventare noi ministro di grazia e giustizia nell'88, 200 milioni di lire di finanziamento dalla famiglia di Partanna Mondello.
Poi Martelli, nel '92 diventa bersaglio da colpire.
Nel '92 Biondino era capo mandamento di San Lorenzo e membro e coordinatore della commissione.

Lo stato... lo stato signor presidente. Lo stato non sta pagando nulla però. Ogni volta che vedo che Riina accusa lo stato, Violante ecc... ha ragione. Io ho fatto 20 anni di cosa nostra e quando si parla di trattativa, io dico quale trattativa? C'è stata sempre una connivenza, tra politici e mafiosi. Ho parlati di dell'Utri con cui io ho avuto a che fare personalmente.
Ci hanno fatto ammazzare Dalla Chiesa. Craxi, Andreotti, che si sentivano col fiato sul collo.
Prima gli hanno fatte fare tutto quello che si è fatto, poi quando la gente reagisce e scende in piazza, allora i politici si nascondono tutti, ecco perché Riina diceva che li avrebbe ammazzati a tutti.
Anche l'omicidio Mattarella, per quello che mi è stato detto, fu commissionato da politici".

Il pm poi passa alle domande su Arnaldo La Barbera. "Lei sa se nel 1992, periodo successivo all'omicidio Lima, ci fu, si discusse in Cosa nostra, anche della possibilità di uccidere La Barbera, funzionario della polizia di Stato?"
- "Io fui incaricato di andare nella Perla del Golfo a Terrasini e vedere i suoi movimenti. Il posto era di proprietà di un certo avvocato Ponte, socio in affari con Salvo Lima.
Si stava facendo un piano per farlo saltare in aria. Era luglio-agosto del '92. Io ci vado anche ad alloggiare alla perla del Golfo. Sto due mesi lì con moglie e figli. Mi fu chiesto da Biondino di ucciderlo col silenziatore, in piscina dove spesso rimaneva solo. Si poteva fare da fuori addirittura. Solo che poi La Barbera si rafforzò la scorta, dopo l'attentato a Borsellino...

Ma c'è una cosa strana. La Barbera aveva ucciso due rapinatori a Palermo, nel mandamento di Madonia, ma nessuno prese provvedimenti di ammazzarlo in quel momento.
Vedere signor procuratore, nessuno si poteva permettere di ammazzare un rapinatore in quel periodo. Solo Cosa Nostra poteva farlo. Chiunque lo avesse fatto veniva ucciso. La Barbera era nella stessa lista di Vizzini, Lima e Germanà. Nessuno lo voleva toccato prima, perché era uno dei servizi ma poi la situazione cambia e da intoccabile diventa un bersaglio.
"Perché nel '92 si doveva uccidere La Barbera? E perché poi non fu fatto l'attentato?" chiede il pm. "L'ordine era sempre di ammazzarlo solo che poi ci fanno sapere che ci sono mandati di cattura per me e le custode cautelari firmate per omicidio Lima, che c'è Mutolo che collabora e quindi mi fu detto di stare attento. Persone dello stato, dissero a Biondino che io ero indagato come mandante. Quando venne la Dia, io non c'ero infatti. Sapevo già che dovevano venire. Quindi io non lo feci per questo. Ma perché cambiarono idea sull'attentato non lo so.

"Per quelle che sono le sue conoscenze – ha chiesto l'aggiunto Vittorio Teresi – il piano di ammazzare La Barbera era un piano di cosa nostra o di altri?"
- Dei servizi segreti, che volevano ammazzare La Barbera. Era una cosa che interessava i Madonia. Che teneva i rapporti con i servizi.I Madonia hanno fatto dei favori a servizi segreti ed era risaputo. Mettendo delle bombe. Per quanto riguarda Andreotti, Riina disse che dovevano occuparsene i fratelli Graviano e che si stavano interessando a Roma ma era difficile perché dopo l'omicidio Lima, Andreotti non usciva più di casa, ma col tempo si sarebbe fatto.

Dopo la sentenza del maxi processo, aveva dato appuntamento a Salvo Lima e lui aveva dato buca. Ma anche gli altri che ho nominato prima non andarono agli appuntamenti: Vizzini, Lima, Mannino, i cugini Salvo. Dovevano venire tutti insieme. Io so solo che Lima gli dette buca. Se gli altri andarono non lo so. In altra occasione si era fissato appuntamento con un certo Michele Aiello di Bagheria, quello della clinica. Si incontrarono per caso a San Lorenzo e si scusò per il mancato appuntamento.
Il fatto di non presentarsi all'appuntamento era grave. Era febbraio. L'appuntamento era alla Perla del Golfo. Si doveva parlare dell'accaduto, di quella sconfitta ella sentenza del maxi. E quindi si decise di ammazzarlo".

Il racconto sull'omicidio Lima
"Riina pressava per ammazzare subito Lima. Poi decidemmo di fare l'omicidio in quel tragitto che faceva ogni mattina. Io dovevo organizzare la cosa. La moto me la portò Giovanni D'angelo, erano presenti Salvatore Biondino in una macchina e Salvatore Scalici in un'altra, Salvatore Biondo il corto era in un'altra macchina ancora.
Ferrante che ci dava il segnale, era messo su monte Pellegrino con ilbinocolo. Ci doveva fare uno squillo al telefono appena Lima usciva di casa. Ricevuta la telefonata ci siamo avvicinati. Lui era in auto con altre due persone. Ci siamo accostati e Giovanni D'Angelo, si emozionò un po' si confuse , li sorpassò troppo e allora mi giro e sparo alcuni colpi per bloccarli. Scendo dalla moto inseguo Lima e gli sparo. L'uomo d'onore non deve mai caricare la pistola, ma averne un'altra già pronta.
Non mi sentii di ucciderli gli altri due. Li graziai. Erano nascosti dietro un cassonetto. Non ci riuscì. Presi infatti un rimprovero da parte di Riina e Biondino e gli dissi che non avevo avuto il tempo. Lasciammo la moto lì. Lasciammo tutto, pistole, giubbotti a Giovanni Cusimano , che ci attendeva in zona Oasi Verde, dove c'era l'officina a nostra disposizione per far sparire tutto e tagliare a pezzettini tutto il resto e poi ci incontrammo a Sferracavallo con Scalici, Biondino.

I rapporti tra Biondino e Riina
Erano la stessa cosa. Biondino seguiva Riina in tutto.
Biondino aveva dato mandato speciale di ammazzare le guardie carcerarie, Una punizione per il modo in cui trattavano i detenuti...
L'avvocato Basilio Milio, difensore del generale Mori e del colonnello Obinu, ha contestato delle dichiarazioni rese da Onorato nel '98: "Nel processo Borsellino ter, lei ha dichiarato che Biondino le disse di lasciare stare l'omicidio del figlio di Lima in quel momento perché c'erano altri omicidi da fare, più importanti. Dovevano rompere le corna a Falcone Borsellino, disse. Quando avvenne questo incontro?"
- Sempre dopo l'omicidio Lima Si dovevano punire anche delle guardie carcerarie perché stavano ammazzando tutti nostri amici e gli facevano dispetti anche ai familiari. Se n'era già individuato qualcuno a Capaci. Dovevano essere uccise a caso, anche senza alcun collegamento.
"Lei seppe niente di omicidi a Trapani, della polizia penitenziari? Di Montalto?" chiede Di Matteo? No. Nel senso che non so chi lo commise.

Deposizione Ferrante. Appartenente alla famiglia di San Lorenzo retta da Pippo Gambino.

"Nonostante il suo arresto nell'87, è sempre rimasto Gambino il nostro capofamiglia e capo mandamento, anche se detenuto. Sul territorio divenne Biondino, anche se per noi era sempre Gambino. Ci vedevamo anche a casa mia e quindi per questo vedevo la vicinanza tra Biondino e Riina. Avevano un rapporto frequente. Gli incontri avvenivano quasi settimanalmente, o a casa mia, o da Biondo, o a casa del Corto, o di un fratello di Biondino. L'11 novembre del '93 fui arrestato per associazione mafiosa e per strage di Capaci. Detenuto dal '93 al settembre del '97. E riarrestato più volte.
Libero dal settembre '97 al 2000 e poi sempre detenuto. Decido di collaborare nel luglio del 1996".

"A quali altri gravi reati ha partecipato?" Chiede il pm
- Quello del dottore Chinnici, Lima, Borsellino. Nell'omicidio Chinnici ho avuto il ruolo di guidare un autocarro e sostarmi nelle vicinanze del portone della sua abitazione con Nino Madonia accanto, che aveva il telecomando per fare esplodere la bomba. Per Capaci ebbi il ruolo di pedinare e controllare quando arrivava il dottore Falcone. Per via D'Amelio, il mio ruolo fu di vedere passare Borsellino e avvisare telefonicamente gli altri che dovevano fare il resto. L'incarico di Chinnici lo ebbi da Pippo Gambino, gli altri due da Salvatore Biondino che ovviamente non poteva prendere decisioni autonomamente ma dietro indicazione di Riina.

L'omicidio Lima mii fu commissionato 10, 15 giorni prima. Io non lo conoscevo personalmente, non lo avevo mai visto, mi avevano detto quindi che aveva i capello tutti bianchi, mi dissero "Sembra una lampadina accesa". Il nome di altri politici da ammazzare si fecero, ma non lo ricordo adesso credo Mannino, Purpura, Vizzini".

Ferrante poi racconta delle indicazioni di voto
"Più volte sono arrivati i fax simile di Lima e di Mannino. La famiglia mafiosa dava delle indicazioni su a chi dare il voto, cercando di farci coinvolgere anche i nostri familiari ovviamente. E arrivavano dal nostro capo famiglia. Biondino ci diceva di seguire le indicazioni, che venivano da Riina e io non posso dire che fossero autonome"

L'omicidio Lima

"Eravamo coinvolti io, Biondino, Scalici, Biondo, Onorato, Giovanni D'Angelo. Il fatto doveva avvenire nei pressi casa sua. Appena uscito. Dopo l'omicidio lei incontrai Biondino per parlare della cosa. Non ricordo i dettagli, ma parlammo dell'opportunità di uccidere Lima, insomma questo fatto era così eclatante. Biondino disse "Adesso così la smettono". Normalmente non chiedevo spiegazioni su un omicidio, ma su questo si. Mi rendevo conto del peso.

Fino a che c'era Pippo Gambino fuori, le riunioni si svolgevano nei garage di Mario Troia. Dopo il suo arresto, dall'87 in poi, in altri luoghi che ho già detto. Come casa mia. Magari io non partecipavo anche se ero in casa. Partecipava Riina alle riunioni, presso casa mia, anni '90-'91. Un paio di volte venne Provenzano, un paio di volte Carlo Greco e Pietro Aglieri, Vincenzo Virga, Raffaele Ganci della Noce, Salvatore Cancemi di Palermo centro perché sostituiva Calò, Angelo la Barbera, Giovanni Graviano. Non solo uomini d'onore, ogni tanto vennero altri personaggi per parlare di affari. Un imprenditore del trapanese se non erro".

Di Matteo poi chiede della strage di via D'Amelio: "Quanto tempo prima, rispetto al 19 luglio, lei è stato informato del fatto che ci doveva essere la strage?"
- Una settimana, dieci giorni prima. Ricordo la simulazione fatta prima, in località Case Ferreri, proprietà che avevo a disposizione, si trova in viale Regione siciliana, lato monte.

"Quando avete fatto le prove del telecomando, lei sapeva che la vittima designata era Borsellino?" chiede il magistrato.
- No non ricordo. L'ho saputo giorni prima. Non molto tempo prima comunque.
Quel giorno io feci la telefonata a chi avrebbe dovuto proseguire l'opera e quindi far esplodere la bomba poi Borsellino. Il numero da chiamare (di Fifetto Cannella, ndr), mi fu dato a Giuseppe Graviano. Chiami due volte, la prima volta da un telefono pubblico e poi dal mio cellulare. Io mi trovavo esattamente dove c'era il ponte di via Belgio.

"Lei ha partecipato all'omicidio di Emanuele Piazza di Capaci? Sulla causale dell'omicidio di questo giovane può essere più Preciso? Chi le aveva detto che Piazza apparteneva ai servizi segreti?" continua il pm.

-Si e sono stato riconosciuto colpevole dell'omicidio con strangolamento di Piazza. Lui andava in giro con un tariffario, con le taglie sui vari latitanti. Poi io non lo so se apparteneva o meno davvero ai servizi. Questa cosa la sentì dire a Francesco Onorato che lo conosceva. Con cui scherzava.

Le ultime domande sono state sui telecomandi utilizzati per la strage di via D'Amelio

"Quante erano le coppie di telecomandi?" chiede Di matteo

- Io ricordo 4. Forse 5 non ricordo, ma cambia poco. Una coppia di telecomandi fu data a Messina Denaro. Io la consegnai ad un ragazzo che faceva il gioielliere, Francesco Geraci di Castelvetrano e aveva una 164 bianca, glieli consegnai sempre nelle case Ferreri. Forse gli obiettivi erano di più quindi.
Le indicazioni me le aveva date Biondino. Che aveva organizzato tutto per la consegna.

"Ma Giuseppe Biondo nella predisposizione dei telecomandi che ruolo ebbe?" 
- Lui non era un uomo d'onore, fino al '93. Proprio a casa di Giuseppe Biondo, abbiamo distrutto sia i telecomandi che gli esplosivi che avevamo. Io li distruggo per evitare di collegare i telecomandi all'esplosivo e poi avevamo la giustificazione che se qualcuno ce li chiedeva, non erano più funzionanti perché erano stati in luogo umido, insomma per evitare il collegamento. La distruzione avvenne poco tempo dopo luglio".

Poi Ferrante corregge il tiro: "Biondino fu arrestato il 15 gennaio del '93 e lui non c'era quando furono distrutti. Era estate, quindi allora era il 1993"

La prossima udienza è fissata per il 21 novembre, con la deposizione del pentito Giuffrè.

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