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Borsellino/quater. Un processo che va avanti tra smentite e non ricordo

 

vittimestrageE' stata la giornata di Giovanni Arcangioli e di Giuseppe Ayala, legati a doppio filo in questo processo, perché la loro figura ruota attorno alla valigetta del giudice Paolo Borsellino. Una valigetta prelevata dall'auto del giudice, passata nelle loro mani e poi rimessa al posto. Attorno a questi momenti solo "non ricordo" e smentite.
Giovanni Arcangioli, noto ormai come l'uomo ritratto nella foto con la valigetta in mano, è stato ascoltato in qualità di testimone. Accusato di furto pluriaggravato (ovvero aver rubato l'agenda rossa di Borsellino) e assolto e recentemente prosciolto dall'ipotesi di reato di false dichiarazioni ai Pm oggi è stato ascoltato dalla Corte d'Assise di Caltanissetta come se fosse la prima volta.
Arcangioli è partitolo dai sui rapporti con i suoi superiori Subranni, Moro e De Donno.
"Subranni lo conoscevo nel senso che sapevo chi era – ha detto – Ma non ci ho mai parlato. Il tenente colonnello Mori,  all'epoca comandava il gruppo di Palermo e quando arrivai a Palermo già lo comandava e De Donno, era il mio comandante diretto. Ero al nucleo operativo, seconda sezione. Anche De Donno aveva fatto l'accademia, era un anno avanti a me. C'erano rapporti di conoscenza diretta. Quando De Donno passò al Ros non ci frequentammo più perché lui andò a Roma, ma l'avrò risentito si, all'epoca. Sulla strage, non ci siamo mai sentiti invece, non ne abbiamo mai parlato"
Alla domanda "Il 19 luglio del 1992 dove si trovava quando ci fu l'attentato di via D'Amelio?", risponde : "Vivo in questa situazione da 8 anni, che ha distrutto me, la mia famiglia. Io non so che ho fatto per meritarmi tutto questo. Io vi voglio anticipare una cosa. Ho ricordi nitidissimi solo di alcune cose. L'odore, la mortificazione interiore mia, la desolazione, il ricordo di quando vidi i resti del procuratore Borsellino. Poi ho solo dei flash e cose che sono anche inesatte. Per me la macchina ad esempio, dietro era bianca, perché sciolta col calore. Sono ricordi confusi. Io avrei giurato che fosse bianca, ma dalle foto viste era azzurra. Io capisco che le mie dichiarazioni all'epoca sono state fallaci, viziate, non so se è stato un meccanismo di difesa. Tutto mi provoca un disagio interiore. Ho provato a ricostruire gli avvenimenti, cercando di andare a ricostruire quello che ricordavo, ma è difficile" falsa informazione a pubblico ministero e poi furto pluriaggravato, a seguito dei miei ricordi confusi, presi come dichiarazioni rese volontariamente in modo fazioso. Ma questi sono i miei ricordi. Ricordi non nitidi non solo da parte mia, ma altri non sono stati indagati. Io ho il timore che le mie dichiarazioni di oggi siano ulteriori prove auto indizianti e auto indaganti, di nuovo".

Il pm Lari aiuta a ricostruire i fatti e Arcangioli prosegue la deposizione: "Non disponevo di cellulare. Credo di avere avuto l'informazione mentre ero in ufficio. Non so se ero nel corridoio ed è arrivata al telefono fisso, o mi fu detto da qualcuno. Raggiunsi il luogo con auto di servizio e mi sembra che alla guida ci fosse il brigadiere Perrotta"
"Lei vide sul posto il dottor Teresi e Ayala, appena arrivato?" ha chiesto Lari, "Teresi arrivò dopo, lo vidi piangere. Ayala era sicuramente già sul posto. Ma non so da quando. E so dagli atti che il dottor Di Pisa (oggi procuratore della Repubblica a Marsala) non c'era. Il dottor Pilato (sostituto, di turno quel giorno) non mi dice nulla invece, non so chi è".
I pm gli ostrano una foto. La famosa foto del teste con la valigetta di Borsellino in mano. Arcangioli la riconosce. "Un contributo per l'accertamento della verità è quello che le chiediamo" dice Lari. "Io non ho fatto nulla di cui mi dovevo vergognare e non voglio il sospetto accanto alla mia figura. E' un martirio che va avanti da 8 anni".

Lari ricorda le deposizione di Arcangioli in merito ai momenti legati al prelevamento della borsa del giudice Borsellino. Ma Arcangioli dice di non ricordare quanto detto: "Non ricordo quanto lei dice che ho dichiarato, ovvero che il dottore Ayala o il dottor Teresi, ma più probabilmente il dottor Ayala, mi informarono del fatto che doveva esserci un'agenda. Non ricordo come sono venuto in possesso della borsa. Ricordo di averci guardato dentro e ho notato un crest dei carabinieri dentro la borsa, quello me lo ricordo. Ricordo solo quello. Ma non ho ricordo nitido di chi era con me quando ho guardato la borsa, forse Ayala, ma non è un ricordo nitido".
Arcangioli continua: "All'inizio il fatto non potevamo affrontarlo noi come nucleo provinciale e se ne sarebbe dovuto occupare il Ros. Ma poi ci fu detto dal capitano Minicucci che se ne sarebbe occupata la polizia di Stato. A Minicucci dissi che avevo visto il crest, questa cosa mi rimase impressa. Ma per me all'epoca quella valigetta era una cosa assolutamente inutile, nulla che potesse interessarmi e quindi non gli attribuì alcun tipo di valore, forse per questo non mi rimase impressa"
"Ayala arrivò prima degli altri magistrati. L'area non era ancora perimetrata. C'erano elementi del battaglione dell'arma dei carabinieri. La zona non era transennata ancora. C'era gente ovunque infatti. Non sono mai andato all'esterno dell'area perimetrale". I pm poi mostrano un video inedito, in cui Arcangioli si trova con altri carabinieri, suoi subordinati "Uno mi sembra che sia il brigadiere Coscia e l'altro Tassone a sinistra e quello nel mezzo potrebbe essere il brigadiere Calabrese. In borghese. Sembra che una tenga qualcosa in mano. L'unico a cui ho riferito della borsa fu Minicucci, perché era il mio comandante diretto e prendevo da lui disposizioni".

"Ricorda di aver visto il giornalista Felice Cavallaro sul luogo?" "No – ha detto – non ricordo di aver visto Felice Cavallaro sul luogo".
"E ha memoria – chiede l'avvocato di parte civile Fabio Repici – di avere parlato con la giornalista Elvira Terranova della borsa e della sparizione dell'agenda di Borsellino? "No, non ho memoria di questo".

Poi i pm sono tornati sulla mancata relazione sulla borsa e Arcangioli risponde: "Io non la feci perché non credevo fosse importante. Diverso è non farla e poi decidere di farla dopo sei mesi. Come l'Operatore della polizia che fala relazione della valigetta solo dopo sei mesi. Ad atri non vengono contestate queste cose , a me si. "

La Deposizione Ayala
"In quel periodo stavo a trecento metri dalla via D'Amelio. Quella domenica io ero a casa, ho sentito un boato, di una forza impressionante e mi sono affacciato ma non vedevo nulla. Rientro a casa e il tempo di vestirmi, riesco e in quel lasso di tempo c'era un enorme colonna di fumo. Scendo, e con la scorta vado. Non potevo fare collegamenti a Paolo, perché non sapevo che la madre di stesse lì. Siamo entrati in via D'Amelio a piedi. Uno spettacolo che non auguro a nessuno. Vidi una macchina blindata con lo sportello posteriore aperto e con l'antenna montata in un posto inedito e mi fece pensare alla Procura. Nelle immediate vicinanze di un cancelletto. Mi viene istintivo entrare, avvicinarmi e sono inciampato, non sono caduto. Era su un troncone di uomo carbonizzato. Credo sia arrivato anche il collega Lo Forte, si chinò per avere conferma per capire chi fosse. Io mi sono rialzato. Ero sconvolto. Ma anche terrorizzato. Il pensiero era "se questi continuano a me finisce così".

Poi sull'agenda: "Io non aveva idea che lui avesse un'agenda e soprattutto cosa ci fosse scritto. Immagino che ci fossero scritte cose delicate, altrimenti non si capisce perché qualcuno tradendo le istituzioni, l'abbia fatta sparire. In quel momento arrivò Felice Cavallaro che mi ha ulteriormente proiettato in una dimensione assurda, mi disse che qualcuno aveva sparso la voce che mi avevano ammazzato e mi disse di andare subito dai miei figli".

La valigetta. "La consegnai subito ad un ufficiale dei carabinieri perché non avevo motivo di tenerla in mano. Quando arrivo vedo l'auto con lo sportello posteriore aperto. Lo sportello che dava sul cancelletto. La borsa la vedo, la seconda volta che mi avvicino alla macchina. La vedo perché lo sportello era aperto. La borsa era lì, io me la trovai in mano, e la consegnai subito all'ufficiale dei carabinieri che mi trovai davanti. Io con Cavallaro non parlai mai di quanto successo. Andai via dopo aver passato la borsa. Non l'ho vista aprire. Posto che l'agenda fosse nella borsa e che fu prelevata, il prelievo dell'agenda fu un prelievo selettivo e fatto tradendo le istituzioni, perché evidentemente era il contenuto ad essere importante e vuol dire che qualcuno l'avrà guardata e letta prima. Può mai essere che nessuno se n'è accorto?"

"Quante persone di scorta aveva? " - chiede il dottor Gozzo,  "Credo fossero tutti. Il caposcorta non ricordo chi era". E ancora, "Il nome di Farinella (il caposcorta in quel periodo, ndr), non le dice nulla?" "No - risponde Ayala - il  nome di Farinella non mi dice nulla"

"Lei e Cavallaro stavate collaborando alla stesura di un libro in quel periodo?" chiedono i pm, "Non stavamo scrivendo alcun libro insieme. La collaborazione fu successiva". Dichiarazione che smentisce quanto dichiarato da Cavallaro all'udienza dello scorso 29 aprile: "Quella domenica, attendevo a casa mia Ayala che avrebbe fatto la prefazione del libro".

"Lei stette in via D'Amelio circa un'ora secondo quanto da lei dichiarato nel '98" continua l'accusa; e a questa affermazione Ayala si inalbera "Questo è un errore clamoroso del verbale del '98: io sono stato pochissimo lì, pochi minuti, altro che un'ora!".

 La deposizione di Ayala si interrompe qui. Rinvio al prossimo 21 maggio.

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